![]() Potenzia te stesso, è un’idea, che si estrae dalla pratica del systema, che non è solo un’arte marziale o una disciplina per l’autodifesa, è un vero e proprio “sistema” di evoluzione personale. Quando una persona pensa di dedicarsi ad un’arte marziale e trova (per sbaglio) il systema, capisce subito che si è imbattuto in qualcosa di particolare, sicuramente anomala per il mondo delle arti marziali in genere. Potenziare se stessi, è un processo interessante, che si propone di riscoprire il vero potenziale della persona e permettergli di esprimerlo, forse non combatteremo mai fisicamente, ma nella vita combattiamo duramente ogni giorno, e l’avversario più temibile è proprio dentro di noi. Succede spesso che nell’intento di migliorarci non facciamo altro che ingigantire questo avversario e invece di farlo diventare più docile e malleabile lo alimentiamo, creando un vero e proprio demone. Dove sta l’errore? Attraverso la pratica del systema scopriamo che ci sono aspetti di noi che lavorano aldilà della mente razionale, del ragionamento, della pianificazione; sono quei meccanismi che riconosciamo nel combattimento, quando veniamo a contatto con parti di noi che non ci fa piacere incontrare, emozioni, limiti fisici, scoraggiamento, ecc… La mente razionale è piena di congetture, schemi e tante cose che condizionano la nostra vita, il nostro modo di vedere le cose, non è lì che si trovano le soluzioni. Studiando il systema possiamo imparare a “sentire”, le cose attraverso canali di comunicazione, che usiamo comunemente, ma di cui non siamo consapevoli, e che vanno continuamente in conflitto con ciò che “crediamo” di spiegarci; ecco come si ingigantisce il demone, auto-alimentando i conflitti interiori. Scegliendo di abbandonare le certezze a cui siamo radicati, che sono poi i nostri veri limiti, possiamo scoprire che dentro di noi ci sono le risorse di rinnovamento, che ci consentono di far fronte a qualsiasi problematica; attraverso i princìpi del systema, possiamo ripulire “la stupidità del nostro corpo” (e della nostra mente), che ci fa muovere e reagire secondo schemi condizionati di pensiero-movimento. Ripulire questi schemi permette alla nostra capacità di adattamento di emergere e trovare soluzioni nuove a problemi antichi, che ci portiamo dietro da tanto tempo. Questo concetto nell’ambito del “potenziamento” ci fa capire che non si tratta di accumulare “potenza” ma di eliminare “zavorra”, che consente ai nostri sistemi neurofisiologici di mantenimento di attivarsi, e trovare strategie adattative efficaci, utili sia nel combattimento che, soprattutto nella vita. In un famoso libro, il libro dei 5 anelli, Myamoto Musashi, scrive che “il portamento negli scontri deve essere quello della vita di tutti i giorni”, i fanatici del combattimento travisano queste parole, pensando che bisogna essere sempre pronti e aggressivi (atteggiamento distruttivo); ma in realtà queste parole vanno lette al contrario, ovvero che l’atteggiamento nella vita di tutti i giorni è quello che influenza il modo in cui combattiamo, o meglio vita e combattimento, in un certo senso sono la stessa cosa. Combattere non vuol dire distruggere, nel systema impariamo “l’arte di combattere senza combattere” (cit. Bruce Lee), ovvero che la capacità di risolvere i conflitti è molto superiore a quella di distruggere e spaccare. L’applicazione dei princìpi può essere estesa a qualsiasi situazione, ma per applicarli, occorre apprenderli, e per apprenderli occorre viverli; quindi praticarli. Ai nostri giovani allievi, a cui insegnamo autodifesa nelle scuole, insegnamo a disinnescare una situazione pericolosa, ad usare meglio il proprio corpo e a vedere i propri limiti, per superarli. Ed è veramente entusiasmante rendersi conto che con la giusta predisposizione, chiunque riesce ad accedere, abbastanza rapidamente a certe capacità, l’unica spiegazione è appunto che quelle “capacità” già sono dentro la persona. Potenziare se stessi, è quindi un’idea, quella di migliorarci in maniera concreta come persone in grado di usare al meglio le proprie risorse . Mario Picconi
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![]() Quando pensiamo ad una situazione di combattimento ci vengono alla mente soprattutto aspetti come forza, agilità, impeto, astuzia, velocità, ecc.. Il Systema ci insegna quanto sia importante il concetto di "attenzione". Il Maestro Karimov ci ha mostrato meccanismi concreti per rubare l'attenzione, per creare cioè un attimo di "shock" del quale approfittare per contrattaccare. Mimica facciale (soprattutto degli occhi e della bocca), suoni, parole, gesti e movimenti all'interno di certe porzioni del capo visivo. Per ridurre il concetto ai minimi termini si può semplificare dicendo che cattura l'attenzione tutto ciò che qualcuno semplicemente non si aspetta. Quello che mi interessa in questo momento però è provare a ribaltare la prospettiva. Come fare in modo che la nostra attenzione non venga catturata? Durante la lezione di oggi il Maestro Mario ha suggerito la risposta. Ovvero, concentrare l'attenzione su noi stessi piuttosto che sull'avversario. Questo non vuol dire focalizzarci solo sulla nostra persona lasciando che tutto il resto rimanga immerso nell'oscurità. Significa fare in modo che l'ambiente esterno venga "percepito" piuttosto che analizzato razionalmente, con l'attenzione appunto. Così facendo, affidandoci cioè alla percezione, le nostre reazioni saranno spontanee e naturali, totalmente prive di calcoli e strategie. In fondo uno dei motivi per i quali spesso ci alleniamo ad occhi chiusi è proprio questo. Fare in modo che ciò che ci circonda non ci catturi l'attenzione, inquinando così la spontaneità della nostra reazione. Ma è ovvio che si tratti solo di esercizi, poiché nessuno dotato di senno chiuderebbe di proposito gli occhi al momento di dover affrontare un combattimento. Quale può essere quindi un altro metodo più realistico per allenarci a mantenere l'attenzione su noi stessi piuttosto che sull'avversario, senza per questo dover rinunciare alla vista? Mi sono accorto che quando mi trovo davanti un avversario quasi inconsapevolmente cerco fin da subito di valutarne la pericolosità, la stazza, il livello di abilità, le sue eventuali armi. Elaboro tutte queste informazioni nel tentativo di avere un quadro più chiaro possibile della situazione ed affrontarla nel migliore dei modi. Se gli avversari improvvisamente diventano due, tre o quattro l'allerta sale, e aumenta anche il numero di elementi che mi sforzo di valutare. Nel fare queste analisi però l'attenzione è totalmente rivolta al mio avversario, consegnata di fatto nelle sue mani, e lui ha la possibilità di catturarla. Se immagino però di trovarmi davanti, non a 2 o 3, ma a un folto gruppo di avversari, il mio approccio probabilmente sarebbe diverso. Non proverei nemmeno a valutare la pericolosità di ciascuno, la loro altezza, o il livello di aggressività dei singoli. Le informazioni da immagazzinare e successivamente da gestire sarebbero troppe. Automaticamente, invece che al ragionamento, mi affiderei alle percezioni, ottenendo di conseguenza reazioni più spontanee. Prive di calcoli o strategie, senza dubbi sul loro esito. L'attenzione resterebbe salda su me stesso, e inafferrabile per gli altri. Esiste quindi una soglia oltre la quale ci rendiamo conto che sarebbe impossibile analizzare in modo razionale il pericolo che stiamo fronteggiando, e rinunciamo a farlo. La nostra attenzione torna ad essere totalmente incentrata su noi stessi. Tanto che se qualcuno nel nutrito gruppo di avversari che abbiamo davanti iniziasse a fare cose come strabuzzre gli occhi, tirare fuori la lingua, agitare le braccia, parlare - cioè quel genere di azioni che in un 1 contro 1 ci provocherebbero sorpresa -, in questo caso probabilmente nemmeno ce ne accorgeremmo. Non è una condizione facile da raggiungere. E non possiamo neppure augurarci di venire aggrediti da una squadra di rugby piuttosto che da un unico sprovveduto, perché almeno così non ci viene rubata l'attenzione! E' necessario quindi allenarci a mantenere l'attenzione concentrata sui noi stessi anche davanti a pochi. Un metodo potrebbe essere quello di lavorare per sottrazione. Iniziare a difenderci dall'attacco di una decina di persone, in maniera da non provare nemmeno a valutare una minaccia così complessa in modo razionale, e affidandoci quindi alla percezione. L'attenzione che “risparmiamo” la dedichiamo a noi stessi. La usiamo cioè per apprezzare la spontaneità delle nostre reazioni e la libertà di movimento che ne deriva. L'assenza di strategie e di schemi. La continuità del respiro e dei movimenti. La rilassatezza di un corpo che si muove in modo semplice e unitario. Ed è questo il vero obiettivo dell'esercizio. Non tanto difenderci efficacemente dagli attacchi, ma osservare e ascoltare noi stessi. Successivamente iniziamo gradualmente a ridurre il numero di aggressori, continuando però a mantenere l'attenzione sempre su questi aspetti. Anche quando gli avversari saranno talmente pochi da poter essere contati, riconosciuti e valutati, dovremmo resistere alla tentazione di farlo, perché questo significherebbe rivolgere a loro, piuttosto che a noi stessi, la nostra preziosa attenzione. Il Systema è per la vita e la vita non è solo combattimento, lo diciamo spesso. Nell'immaginare l'esercizio appena proposto mi è tornato alla mente una sorta di metodo che ho usato varie volte per allontanare ansie e pressioni. Quando mi è capitato di dover affrontare problemi che mi creavano particolare preoccupazione e che catalizzavano tutta la mia attenzione, consumavo tutte le mie energie mentali nel tentativo di trovare soluzioni. Per liberarmi da questa spiacevole condizione talvolta immaginavo che, oltre al problema che effettivamente avevo, ne sorgessero improvvisamente molti altri di pari gravità. Intoppi sul lavoro, turbolenze nelle relazioni affettive, difficoltà di un familiare, scadenze di pagamenti difficili da rispettare, impegni imprevisti. Se con l'aggiungere i primi problemi l'ansia saliva, raggiunta una certa soglia il livello di ansia, già saturo, smetteva di aumentare. A quel punto rinunciavo a voler trovare a tutti i costi una soluzione immediata. Accettavo la presenza di tutti quei problemi, ma li spostavo fuori da me. Non lasciavo cioè che i problemi fossero i protagonisti della mia vita, riappropriandomi io stesso del ruolo centrale. La mia attenzione e le mie energie tornavano così a rivolgersi verso l'interno, e le tensioni si allentavano. Poi, proprio come nell'esercizio proposto, iniziavo gradualmente a togliere tutti quei problemi aggiuntivi che mi ero volontariamente inflitto. Quando rimaneva solo quello che realmente avevo ne accettavo l'esistenza, ma stavo ben attento a non lasciare che tornasse ad essere l'obiettivo unico delle mie attenzioni. Mantenendo questo stato di centralità e tranquillità non di rado mi accorgevo che la soluzione al problema arrivava alla fine in maniera più semplice e spontanea di quanto mi immaginassi. Semplice e spontanea come il movimento di un corpo che ascolta sé stesso, piuttosto che concentrare tutta l'attenzione su ciò che sta al di fuori. Articolo di Jacopo Baggiani Aspirante istruttore ![]() “Un istante, in cui accade qualcosa di inaspettato, si resta increduli, perché siamo persone normali, perché nella nostra cultura non esiste la violenza fine a se stessa, il nostro cervello non è in grado di concepire quello che sta accadendo…ci rinchiudiamo in noi stessi come autodifesa, vogliamo solo che finisca presto…non sta accadendo a me”. Questo è quanto, e da ora quello che fa la differenza è se sei stata preparata a reagire oppure no, se hai assimilato i giusti automatismi che ti fanno riemergere dalla fossa in cui eri rintanata, sembra bestiale anche questo? Lo è…perché reagiamo secono i nostri istinti animali, e su quelli possiamo contare se…siamo stati preparati a farlo. Proteggere se stesse è una questione di prevenzione, non un rifugio, è un metodo per scappare dal rifugio e dal pericolo, di qualunque colore, razza e tipologia si tratti, il pericolo è vigliacco, sporco, marcio, è una cosa che crea imbarazzo ed è sgradevle; per le persone normali sono tutte cose da cui rifuggire, ed è giusto sia così, ma in realtà si tratta di imparare a superare i blocchi e attivare i meccanismi di difesa automatica che abbiamo dentro, e non si tratta di muoversi come le dive della tv o come gli insegnanti di arti marziali, che di solito sono omaccioni grandi e grossi; si tratta di imparare a conoscere se stesse e come reagiamo in determinate situazioni, si tratta di capire che possiamo uscire dal tunnel in cui ci rifugiamo per paura, si tratta di accettare l’idea della sconfitta per reagire in maniera inaspettata. Protegete voi stesse, suona un po come “si vis pacem para bellum”, ma è più ricco di significati, perché non coinvolge solamente la parte fisica, ma anche la parte emotiva, la protezione è un atto dovuto, perché siete persone preziose, per voi e per le persone che vi stanno intorno; il fatto che ci dobbiate pensare da sole è relativo all’atteggiamento per cui dovete accettare che certe cose possano accadere, e questo farà la differenza. Nel momento in cui vi muovete per imparare a proteggervi fate un’azione coraggiosa, non mi interessa che facciate uno dei miei corsi di difesa personale anziché un altro, mi interessa che vi sensibilizziate verso la necessità di proteggere la vostra vita e il vostro cuore. Il coraggio con cui vi predisponete ad imparare delle cose su voi stesse, con cui vi adeguate a fare degli esercizi incomprensibili, con cui imparate che è importante saper canalizzare la vostra energia. Concedetevi del tempo per prendervi cura di questo aspetto della vostra vita, spesso le donne fanno di tutto per l’estetica, corsi di fitness dalle incredibili prestazioni fisiche, che io personalmente sono spaventato solo all’idea di parteciparvi, ma per la bellezza e la salute si fa tutto, ebbene anche la protezione personale ha la sua ragione di esistere, anche solo per un breve periodo della vostra vita, fatelo! Quello che imparerete vi accompagnerà, e speriamo che non vi serva mai metterlo in pratica. Dovete poter accettare il fatto che il vostro corpo è capace di fare molte più cose di quello che credete, credete in questo, imparate cosa potete arrivare a fare, vi salverà la vita. Mario Picconi ![]() di Mario Picconi Imparare la tecnica del colpi nel systema siberian cossack (SSC) prevede una metodica di studio particolare, in molte arti marziali si inizia con lo studiare il movimento a vuoto, poi si passa all’uso dei colpitori e di vari strumenti, sacco, punging ball, makiwara… Innanzitutto una cosa, quando si impara si deve evitare di farsi del male, sia nell’immediato che nel futuro, sono molti i casi di persone infortunate o che si ritrovano l’artrosi alle mani o lesioni ai gomiti e spalle, senza peraltro essere dei professionisti; come sempre il nemico numero 1 siamo noi stessi, e nella foga di imparare “rapidamente” ci si brucia. Ricordo una delle frasi del mitico Bruce Lee: “quando inizi a studiare, un pugno è solo un pugno, con il tempo scopri che colpire è molto di più, quando padroneggi la tecnica, comprendi che, un pugno è solo un pugno”. Nella mia esperienza di arti marziali (iniziata nel lontano 1977) ho studiato molte metodiche per colpire, sia quelle tradizionali asiatiche, che quelle tradizionali pugilistiche occidentali, molte di queste estremamente efficaci; nel systema il metodo per colpire è al tempo stesso intuitivo, ma profondo; intuitivo, perché fa riferimento ad un modo “naturale” di muoversi e quindi facendo eliminare i condizionamenti dati dai blocchi fisici ed emotivi è possibile imparare abbastanza rapidamente a colpire; profondo, perché per padroneggiare il movimento “naturale” scopriamo che l’aspetto psicologico è molto importante. Paradossalmente principianti inesperti, per cui “…un pugno è solo un pugno…” imparano, in genere, ad usare i colpi del systema più rapidamente di chi ha già praticato una qualche disciplina “…perché magari sono pieni di blocchi, dubbi, rigidità…”; insegnanti esperti invece riconoscono nei colpi del systema una apparente semplicità, frutto spesso di molti anni di esperienza e di movenza raffinate. Non ultime sono le donne, le quali non potendo contare su una massa fisica muscolare, sanno istintivamente che è meglio imparare ad ottimizzare il movimento, e quindi, liberatesi dell’iniziale imbarazzo diventano capaci di dare dei colpi molto efficaci, spesso nell’arco di una sola lezione, o comunque da quando decidono di lasciarsi andare. La padronanza del movimento richiede di imparare ad ascoltare il proprio corpo, di sentire e di controllare il movimento dei segmenti del braccio, spalla, gomito, mano, ma anche del bacino, delle gambe e della distribuzione del peso; tutti elementi degni di studi decennali di pugilato. Nel systema usiamo degli esercizi per sensibilizzare il corpo e insegnare come visualizzare il movimento, per cui prendiamo ispirazione dal movimento della frusta cosacca, imparando come usarla per colpire e facendo riferimento ad essa durante i movimenti del corpo, accade così in maniera quasi immediata che la persona migliori la propria capacità di un buon 50%. Imparando ad usare il colpo frustato come prima tecnica di percussione si ottiene anche un buon effetto di fiducia sulle proprie capacità personali; inoltre l’atto di colpire diventa un’esperienza importante sul piano fisico ed emotivo. Spesso si sente dire che: “tirare i colpi aiuta a scaricare la tensione emotiva”, questo non è esatto, dipende da come vengono tirati, se pensiamo a qualcosa da scaricare, pensiamo ad esempio ad un camion pieno di patate, che viene scaricato del suo peso in termini di ballini di patate caricati sulle spalle e deposti altrove; quando si portano i colpi l’azione di “scaricamento” si effettua solo togliendo la rigidità dal corpo, altrimenti si ottiene psicologicamente l’effetto opposto, quello di caricarsi di aggressività, che verrà poi scaricata sul malcapitato di turno che magari al semaforo non ci ha dato la precedenza. In effetti un colpo è sempre frutto di una reazione emotiva, che ci fa superare un limite, che è quello di riportare una situazione sotto una soglia di controllo; allora imparare questa metodica non serve solamente a gestire la nostra aggressività, ma anche la nostra sicurezza personale e fiducia in noi stessi, sicurezza che non passa dalla capacità di far del male a una persona, ma che dipende dalla capacità di gestire le nostre reazioni in maniera appropriata alla situazione che ci si presenta davanti, sia di carattere fisico che psicologico. La gestione dello stress è molto importante nella nostra società, perché il livello di saturazione emotiva, provocato da molti fattori, è molto alto, per cui le persone non riescono a capire come reagire in maniera adeguata agli stimoli che le paralizzano emotivamente, diventando incapaci di manifestare in maniera appropriata la capacità di difendersi, o facendolo in modi inopportuni. Lo studio dei colpi che facciamo nel systema ha questo doppio presupposto, insegnare un modo efficace di difendersi e migliorare la capacità di reazione psicologica agli stress.
![]() Precisione, definizioni: stato o qualità di essere preciso; esattezza. Aggettivo: chiaramente espressa o delimitata definita. Esatto in termine di prestazione, l'esecuzione, o la quantità; preciso o corretto. Molte volte ci siamo consumati nella ricerca per sviluppare potenza e velocità, questo è soprattutto perché queste qualità hanno forti associazioni fra di loro, in termini psicologici il "potere" è associato con l'ego e la " velocità" con la paura; spesso quando ci alleniamo, invece di “trasformare” queste qualità psicologiche, non facciamo altro che rafforzarle; la precisione che è associata con la qualità psicologica dell’ esattezza, colloca sotto di sé potenza e velocità. Tuttavia, se guardiamo ogni vero capolavoro possiamo vedere emergere la precisione, non importa quale sia lo sforzo, in quanto nella precisione c’è il corretto utilizzo di forza e velocità come qualità intrinseche. Quando vi allenate, prendetevi il tempo, per concentrarvi su questa abilità, non rimarrete delusi dai risultati! Ecco quattro consigli per aiutarvi in questa impresa: RALLENTATE Non abbiate fretta nell’eseguire le vostre esercitazioni per il bene di portarle a termine. La velocità può essere aggiunta in seguito quando le vostre abilità migliorano. Pensate a un buon cibo, godete e assaporate ogni aspetto di esso, che cosa porta a mangiare troppo in fretta? Non molto, magari un gran mal di pancia. FAVORITE LA QUALITA’ ALLA QUANTITA’ Che si tratti di parole o azioni, meno ne utilizziamo per eseguire la stessa operazione, più aumenta l’efficienza e più energia si conserva. Pensate a qualcuno che divaga su di un argomento che potrebbe essere riassunto in poche parole, questo fa agitare le persone, che cominciano a sbuffare come uno pneumatico forato; o la soddisfazione di un movimento difensivo efficiente che ha richiesto solo un buon pugno, anzichè 4 colpi mediocri. PORTATE A COMPIMENTO Quando vi esercitate siate chiari e fiduciosi con le vostre azioni. Non ci dovrebbe essere alcun dubbio circa gli effetti potenziali di quello che state facendo, ad esempio, se praticate il "prendi e scappa" con un partner, entrambi potete lavorare con precisione, la persona che sta afferrando il partner deve scegliere un obiettivo e procedere in modo impegnato e concentrato, se il partner non si muove, la presa và completata e la persona è messa a terra; dall’altra estremità la persona che si difende dovrebbe agire con precisione e fermare la presa, senza lasciare dubbi sull’efficacia della sua azione. USATE LE PAROLE Cercare parole e dichiarazioni precise quando spiegate. Che si tratti alla fine della classe nel cerchio o spiegare qualcosa ad un compagno di studi, trasmettete il messaggio in maniera concisa ed efficace è il vero segno distintivo di un maestro; cercando di raggiungere questa abilità sarete in grado di rendere il vostro 'lavoro' davvero bello e gratificante. Ispirato ad un articolo sul Blog di Emmanuel Manolakakis, insegnante di systema di, Toronto CA ![]() Di Mario Picconi Cosa rende il Systema così particolare rispetto ad altre arti marziali? Quali sono le differenze con il Krav Maga o le MMA? Queste, e molte altre, sono domande che ci facciamo spesso, e ci servono per capire sempre meglio cosa facciamo e dove andiamo, e soprattutto cosa possiamo dare di diverso al mondo delle Arti marziali. Questo mese nel nostro Blog, ho pubblicato un Articolo di martin Wheeler, un noto insegnante di systema che ha recentemente fondato una accademia a Beverly Hills, in questo articolo Martin racconta una storia in cui parla della sua esperienza, ed è una cosa in cui riconosco molto della mia esperienza personale, in quasi 40 anni di pratica delle arti marziali cinesi (wushu) ho scelto il systema per la sua semplicità ed immediatezza, perchè contiene princìpi che erano già presenti nelle arti che ho praticato, ma soprattutto perchè mi consente di portare avanti un discorso sano di pratica di un'arte marziale, fuori dai tradizionali schemi e molto concentrata sulla protezione della persona a tutti i livelli, soprattutto da se stessa. Penso che il systema non debba assomigliare ad altre discipline da combattimento, ma debba portare avanti un suo discorso che ne fa una disciplina così particolare, nondimeno penso che debba essere un'arte moderna, applicabile in contesti di difesa personale in cui persone comuni possono trovarsi in difficoltà, ma anche per operatori di sicurezza e forze di polizia che possano trovarsi in condizioni di dover rendere inoffensivo un aggressore con poco sforzo e massima efficacia, senza lasciare "segni tangibili" della loro azione. Ogni contesto di pratica ha una preparazione differente, qualche giorno fà un mio studente ha visto su youtube un incontro fra un kickboxer e un praticante di systema, io gli ho risposto che un esperto di karate non farebbe una gran figura in un incontro di pugilato, e anche viceversa...Il systema è nato per essere utilizzato in una certa forma per cui cercare di portarlo in altri contesti è una forzatura. Un aspetto che invece è molto interessante è che il systema contiene aspetti comuni a molte arti marziali, per cui può essere utilizzato per implementare la pratica anche di sport da combattimento come le MMA, chiaramente estraendone i contenuti adatti. La sua assimilazione con il Krav maga invece lo rende particolarmente adatto per l'aggiornamento e l'approfondimento di alcune tematiche che consentono di essere ancora più incisivi ed efficaci. ![]() Articolo di Martin Wheeler pubblicato l’8 settembre 2009. Negli ultimi anni ho letto con interesse i commenti sulla validità di addestrarsi nel Systema espressi da osservatori che ne hanno solo visto qualche filmato su youtube o qualche video didattico. Spesso il paragone che viene fatto è quello con la più “visiva” delle arti da combattimento, ovvero le MMA. E le domande che vengono fatte sono sempre le stesse: “Perché si allenano così lentamente? Perché sembra tutto troppo facile? Perché quel tizio è caduto a terra e non sembra in grado di rialzarsi?” Ed ho letto con lo stesso interesse i vari modi nei quali l’arte è “difesa” dai praticanti di Systema. Non dico che non siano domande pertinenti, dico solo che raramente le ho sentite formulate a lezione, durante qualche stage o qualche sparring, a prescindere dal background marziale e dalle capacità di chi possa averle formulate. Giusto per correttezza, devo precisare che studio arti marziali dalla tenera età, passando per ambienti dove si praticava il contatto pieno, dal pugilato al grappling, dall’uso di armi all’aspetto street proof, e negli ultimi trent’anni ho fatto sparring, mi sono allenato ed ho combattuto con chiunque abbia incrociato il suo cammino col mio, da principianti a combattenti di livello mondiale. Ho fatto il buttafuori per dieci anni e attualmente collaboro alla formazione di professionisti della sicurezza in tutto il mondo, combattenti di MMA, praticanti di Systema, di arti tradizionali e principianti assoluti. Quindi perché, se ho studiato questi altri sistemi con buoni risultati, ho scelto di praticare il Systema? Per me è facile rispondere: perchè l’ho provato. Sono solo uno dei tanti che è dovuto ricorrere a tutta la propria esperienza per mettere alla prova Vladimir Vasiliev o, dio ce ne scampi, Mihail Rjabko, appena li incontrai. E devo ancora vedere qualcuno che, al contrario di me, non sia venuto fuori da questa esperienza nel modo in cui ne sono uscito io, cioè scombussolato, dolorante, ma con la certezza interiore che qualcosa di fondamentale in me fosse cambiato. Per farla breve, c’è molto del Systema che sfugge all’occhio. E se non è così, se su youtube è possibile vedere subito tutto quello che succede, allora non è un efficace Systema. Le MMA sono spettacolari, veloci e intense. Il miglior modo di confrontarsi per due pugili-lottatori dai tempi dei gladiatori. Si può vedere tutto ciò che accade, e i risultati sono ovvi. Ci combattono alcuni fra i migliori atleti del mondo. Mi piace guardarle, mi piace allenarmi e praticare con chiunque di quell’ambiente. E, secondo me, chiunque si alleni almeno a un livello sufficiente nelle MMA, sia uomo o donna, merita di essere preso sul serio. Già vi sento chiedere: Ok, se il Systema è così buono, perché non c’è nell’UFC? E credo che sia una domanda molto intelligente. Ma potrei chiedere a mia volta: Ok, ma se quelli dell’UFC sono così bravi, perché non si portano un coltello, nella gabbia? Anche se questo esempio sembra irreale, sono riuscito a spiegarmi? La dinamica di un combattimento cambierebbe immediatamente se qualcuno gettasse un coltello nella gabbia. Si vedrebbe due combattenti esperti adattarsi immediatamente a un nuovo set di regole, o morire istantaneamente. Credo che chiunque sia d’accordo sul fatto che prenderle di santa ragione da un combattente di MMA non sia uno scherzo, ma che sia tutto sommato da preferire a una singola coltellata. Una delle prime volte in cui mi allenai con Vasiliev, lui mi fermò nel bel mezzo di uno sparring, e disse nel suo personalissimo modo “Martin, conosco degli uomini che tu faresti a pezzi, in un ring”. Naturalmente, uno stupido orgoglio mi fece credere che fosse un complimento, quando, voltandosi verso un altro studente, aggiunse “Ma loro ti ucciderebbero”. E questo è il problema. Qualsiasi visibile strategia, filosofia e movimento che funziona alla grande nelle MMA è certamente utile per strada, magari anche sul campo di battaglia. Ma solo utile, laddove tutto il Systema è stato specificamente concepito per gli ultimi due ambienti, testato e collaudato in altri tipi di arene differenti da quelle delle MMA, e non per essere “visivo” come queste ultime. La struttura del Systema è stata progettata come una “assenza di struttura”, e la reazione a volte “visivamente” lenta è in realtà un timing con l’avversario altamente sviluppato, invisibile, reso possibile dallo stato di calma del praticante. Di recente sono stato invitato ad esporre i principi del Systema presso una unità speciale, all’estero. Mentre ero lì, mi fu mostrato un video in cui vari istruttori candidati ad addestrare i loro operatori dimostravano quello che sapevano fare. Fra di loro c’era un allenatore, bravissimo, direttamente dal circuito di Pride. Chiesi loro cosa ne pensassero, e un colonnello mi rispose: “Tutto eccellente! Ma per noi, praticamente inutile”. Non voglio assolutamente denigrare l’allenatore di Pride, infatti era davvero eccellente. Ma i fatti sono questi, quello che va bene in una arena non va bene in un’ altra. Il Systema non è stato concepito per un ambiente sportivo o una mentalità agonistica, esattamente come le MMA non sono nate per essere usate nel campo di battaglia o ad avere una mentalità da scenario bellico. Uno si può allenare venti anni nel Jujitsu, ad esempio, e diventare un bravissimo grappler. Ma se si introduce solo un altro avversario nel combattimento, non sarà più Jujitsu. Semplicemente, non è fatto per due avversari allo stesso tempo, specie al suolo. E’ strutturato per combatterne uno solo. Non sto dicendo che il praticante di Jujitsu non può farcela, sto solo facendo notare che se si trovasse ad allenarsi regolarmente su avversari multipli, anche armati, l’addestramento usato rassomiglierebbe, almeno esteriormente, a quello del Systema. E, armato di tale esperienza, lo stile del praticante di Jujitsu contro un avversario sarebbe inevitabilmente cambiato. Dopo dieci anni, il suo stile sembrerebbe alieno agli occhi di un altro praticante “puro”, esattamente come appare oggi il Systema, difatti passato attraverso secoli di perfezionamento. Il Systema, inteso come arte marziale e nella sua forma contemporanea è concepito principalmente per l’applicazione reale, per funzionare in ogni tipo di situazione (avversari multipli, armi di ogni tipo, terreni sfavorevoli, poca illuminazione, ambienti ristretti ecc.), specialmente quelle in cui si possono trovare ad operare professionisti militari, forze dell’ordine e agenti di sicurezza, qualcuno che può trovarsi a dover combattere ferito, infortunato, magari trovarsi a proteggere una donna o un bambino, ma anche persone normali, anche anziane e deboli. L’addestramento e lo stile di combattimento del Systema è stato progettato per evitare nuovi infortuni, e addirittura guarire quelli vecchi. Tutto questo richiede un altro tipo di preparazione, attitudine e mentalità, differenti da quella sportiva. E tutto ciò nonostante il fatto che, come una volta venne sottolineato da Vladimir nel suo modo calmo e rilassato “Il Systema si trova per caso ad essere un’arte marziale”. Infatti, se si vuole capire bene il valore di questa gemma, non si può restare fermi a guardarla dall’esterno… L’autore:Martin Wheeler è un istruttore avanzato di Systema. Si è addestrato per oltre trent’anni nelle arti marziali, passando dalla boxe alle discipline di grappling, combattimento armato, Karate Kenpo, e gli ultimi dieci anni in Systema. Responsabile dell’addestramento di unità speciali della polizia e delle forze armate, è anche sceneggiatore di film a Hollywood.Traduzione di Paolo Verrone, link all’articolo originale http://wheelersystema.com/537/why-systema ![]() Guardare...e Vedere... Di Mario Picconi Ricercare una evoluzione personale attraverso l’apprendimento è la base del processo di crescita di una persona, tutti apprendiamo da quando siamo bambini, e guardiamo il mondo con occhi critici scegliendo cosa ci piace, quindi cerchiamo di imitare quello che vediamo per farlo nostro e saperlo riprodurre, fatto ciò andiamo oltre e cerchiamo nuove cose da apprendere, perché ogni processo non è mai fine a se stesso, l’apprendimento non ha confini, perché non dipende da fattori esterni alla persona, ma dipende da come siamo in grado di “VEDERE” e quindi discriminare quello di cui vorremmo fare esperienza. Dallo studio della neurofisiologia abbiamo potuto scoprire che l’apprendimento è una funzione complessa che coinvolge svariati aspetti del nostro organismo congiunti a fondamentali cambiamenti, chiamati da Darwin, adattamenti; questo termine è alla base delle teorie evoluzionistiche e dei cambiamenti a cui le specie animali (e non solo) vanno incontro, e determinano la sopravvivenza… Rivolgendoci al nostro quotidiano, l’apprendimento è alla base dell’adattamento, quella che spesso viene definita “crescita personale” è un fenomeno di apprendimento per cui l’individuo sente la necessità di adattarsi a determinate situazioni di vita, immaginiamo una stanza arredata, piena di oggetti, libri, ricordi, ma anche tante cose inutili accatastate e dimenticate, un bel giorno chiamiamo l’imbianchino, che deve rinfrescare la stanza, siamo allora costretti a spostare i mobili, staccare i quadri, la libreria è così piena da essere troppo pesante per essere spostata, quasi quasi pensiamo di lasciare tutto lì e lasciar stare, l’imbianchino passerà oltre… ma invece no, sentiamo l’esigenza di rinnovare tutto, quindi scarichiamo la libreria e la spostiamo, l’imbianchino finisce presto, e ci troviamo una bella stanza dalle pareti pulite, dove tutto è accumulato al centro della stanza; la scelta è ora, nel momento critico, fra rimettere tutto come prima e ritrovare la sicurezza o la fatica di riorganizzarsi la stanza. La nostra mente funziona allo stesso modo, abbiamo uno spazio in cui raccogliere le nostre esperienze, e di conseguenza stabiliamo un livello di funzionamento, si perché la nostra mente è un meccanismo, noi crediamo di essere in ciò che facciamo e pensiamo, ma non è così noi siamo un meccanismo, la nostra mente è un meccanismo, il nostro cervello è un meccanismo, noi ci adattiamo sulla base delle nostre esperienze e lo facciamo secondo una predisposizione individuale, frutto della genetica. Come rimettere a posto la nostra mente? Coma cambiare il nostro modo di vedere le cose? Come rimettere in ordine le nostre vite? Buttare via la spazzatura che è dentro la nostra stanza/mente è il primo passo, creare spazio nella nostra ram virtuale è necessario per “vedere” cosa realmente siamo, e cosa emerge spontaneamente dalla nostra vita, invece di continuare a riempirci la mente di ideologie preparate da altri, possiamo scoprire cosa è presente nelle nostre vite semplicemente osservando, in fondo la meditazione è proprio questo, gettare la spazzatura e occuparci di ciò che facciamo ogni giorno, la meditazione non è andare fuori dal mondo in un luogo di pace, è trovare il luogo di pace dentro questo mondo, dentro di noi, guardare dentro se stessi e riuscire a “vedere” attraverso. L’organo della vista è la fonte del 70-80% delle informazioni relative all’apprendimento del nostro sistema uomo, l’asse bipupillare è il principlae asse su cui si fonda l’allineamento posturale, guardare è una funzione innata su cui fondiamo i nostri processi di apprendimento e relazione con l’ambiente esterno, riuscire a “vedere” è in relazione alle nostre precedenti esperienze, attenzione, la vista può essere ingannevole, sia perché siamo soggetti a continui condizionamenti, sia perché non siamo preparati a vedere, guardare senza poter vedere, è come pensare di sapere già tutto quello che serve, è come pensare che una “tecnica” possa risolvere le nostre problematiche, ma i problemi che noi pensiamo esistano, in realtà sono solo domande per cui cerchiamo di trovare la risposta. Come si impara a “vedere” ? Studiare ed approfondire la conoscenza ci mette in grado di essere in grado di vedere realmente, rimettere in discussione quello che sappiamo per poter migliorare la nostra consapevolezza; occorre studiare con un preciso criterio, spesso si incontrano percorsi di studio impostati in maniera casuale e senza un filo logico che leghi le discipline dello studio, ecco questo è un caso in cui invece di ripulire la nostra stanza dalla spazzatura, la sostituiamo con quella di qualcun altro. Il criterio corretto per studiare esiste e prevede che ci siano dei princìpi che legano le discipline di studio sviluppando un’armonia di comprensione e nell’uso degli strumenti questo è quello che insegnamo nella nostra Scuola, non diamo un metodo di pensare pre-impostato, non isegnamo formule per risolvere i problemi, noi ci basiamo su cose vere, sull’insegnamento di ciò che la natura ha creato, affinchè possiamo farne una esperienza di crecita personale, imparare a vedere, in armonia con le leggi della natura. |
AutoreMario Picconi, ha realizzato l'area blog sul systema Archivio
Novembre 2018
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