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Empower yourself

30/11/2018

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Potenzia te stesso, è un’idea, che si estrae dalla pratica del systema, che non è solo un’arte marziale o una disciplina per l’autodifesa, è un vero e proprio “sistema” di evoluzione personale. Quando una persona pensa di dedicarsi ad un’arte marziale e trova (per sbaglio) il systema, capisce subito che si è imbattuto in qualcosa di particolare, sicuramente anomala per il mondo delle arti marziali in genere.
Potenziare se stessi, è un processo interessante, che si propone di riscoprire il vero potenziale della persona e permettergli di esprimerlo, forse non combatteremo mai fisicamente, ma nella vita combattiamo duramente ogni giorno, e l’avversario più temibile è proprio dentro di noi. Succede spesso che nell’intento di migliorarci non facciamo altro che ingigantire questo avversario e invece di farlo diventare più docile e malleabile lo alimentiamo, creando un vero e proprio demone. Dove sta l’errore? Attraverso la pratica del systema scopriamo che ci sono aspetti di noi che lavorano aldilà della mente razionale, del ragionamento, della pianificazione; sono quei meccanismi che riconosciamo nel combattimento, quando veniamo a contatto con parti di noi che non ci fa piacere incontrare, emozioni, limiti fisici, scoraggiamento, ecc… La mente razionale è piena di congetture, schemi e tante cose che condizionano la nostra vita, il nostro modo di vedere le cose, non è lì che si trovano le soluzioni. Studiando il systema possiamo imparare a “sentire”, le cose attraverso canali di comunicazione, che usiamo comunemente, ma di cui non siamo consapevoli, e che vanno continuamente in conflitto con ciò che “crediamo” di spiegarci; ecco come si ingigantisce il demone, auto-alimentando i conflitti interiori.
Scegliendo di abbandonare le certezze a cui siamo radicati, che sono poi i nostri veri limiti, possiamo scoprire che dentro di noi ci sono le risorse di rinnovamento, che ci consentono di far fronte a qualsiasi problematica; attraverso i princìpi del systema, possiamo ripulire “la stupidità del nostro corpo” (e della nostra mente), che ci fa muovere e reagire secondo schemi condizionati di pensiero-movimento. Ripulire questi schemi permette alla nostra capacità di adattamento di emergere e trovare soluzioni nuove a problemi antichi, che ci portiamo dietro da tanto tempo. Questo concetto nell’ambito del “potenziamento” ci fa capire che non si tratta di accumulare “potenza” ma di eliminare “zavorra”, che consente ai nostri sistemi neurofisiologici di mantenimento di attivarsi, e trovare strategie adattative efficaci, utili sia nel combattimento che, soprattutto nella vita. In un famoso libro, il libro dei 5 anelli, Myamoto Musashi, scrive che “il portamento negli scontri deve essere quello della vita di tutti i giorni”, i fanatici del combattimento travisano queste parole, pensando che bisogna essere sempre pronti e aggressivi (atteggiamento distruttivo); ma in realtà queste parole vanno lette al contrario, ovvero che l’atteggiamento nella vita di tutti i giorni è quello che influenza il modo in cui combattiamo, o meglio vita e combattimento, in un certo senso sono la stessa cosa. Combattere non vuol dire distruggere, nel systema impariamo “l’arte di combattere senza combattere” (cit. Bruce Lee), ovvero che la capacità di risolvere  i conflitti è molto superiore a quella di distruggere e spaccare. L’applicazione dei princìpi può essere estesa a qualsiasi situazione, ma per applicarli, occorre apprenderli, e per apprenderli occorre viverli; quindi praticarli. Ai nostri giovani allievi, a cui insegnamo autodifesa nelle scuole, insegnamo a disinnescare una situazione pericolosa, ad usare meglio il proprio corpo e a vedere i propri limiti, per superarli. Ed è veramente entusiasmante rendersi conto che con la giusta predisposizione, chiunque riesce ad accedere, abbastanza rapidamente a certe capacità, l’unica spiegazione è appunto che quelle “capacità” già sono dentro la persona. Potenziare se stessi, è quindi un’idea, quella di migliorarci in maniera concreta come persone in grado di usare al meglio le proprie risorse .
Mario Picconi

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Riflessioni sull'attenzione

16/2/2018

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Quando pensiamo ad una situazione di combattimento ci vengono alla mente soprattutto aspetti come forza, agilità, impeto, astuzia, velocità, ecc.. Il Systema ci insegna quanto sia importante il concetto di "attenzione". Il Maestro Karimov ci ha mostrato meccanismi concreti per rubare l'attenzione, per creare cioè un attimo di "shock" del quale approfittare per contrattaccare. Mimica facciale (soprattutto degli occhi e della bocca), suoni, parole, gesti e movimenti all'interno di certe porzioni del capo visivo. Per ridurre il concetto ai minimi termini si può semplificare dicendo che cattura l'attenzione tutto ciò che qualcuno semplicemente non si aspetta. Quello che mi interessa in questo momento però è provare a ribaltare la prospettiva.
Come fare in modo che la nostra attenzione non venga catturata?
Durante la lezione di oggi il Maestro Mario ha suggerito la risposta. Ovvero, concentrare l'attenzione su noi stessi piuttosto che sull'avversario. Questo non vuol dire focalizzarci solo sulla nostra persona lasciando che tutto il resto rimanga immerso nell'oscurità. Significa fare in modo che l'ambiente esterno venga "percepito" piuttosto che analizzato razionalmente, con l'attenzione appunto. Così facendo, affidandoci cioè alla percezione, le nostre reazioni saranno spontanee e naturali, totalmente prive di calcoli e strategie.
In fondo uno dei motivi per i quali spesso ci alleniamo ad occhi chiusi è proprio questo. Fare in modo che ciò che ci circonda non ci catturi l'attenzione, inquinando così la spontaneità della nostra reazione. Ma è ovvio che si tratti solo di esercizi, poiché nessuno dotato di senno chiuderebbe di proposito gli occhi al momento di dover affrontare un combattimento.
Quale può essere quindi un altro metodo più realistico per allenarci a mantenere l'attenzione su noi stessi piuttosto che sull'avversario, senza per questo dover rinunciare alla vista?
Mi sono accorto che quando mi trovo davanti un avversario quasi inconsapevolmente cerco fin da subito di valutarne la pericolosità, la stazza, il livello di abilità, le sue eventuali armi. Elaboro tutte queste informazioni nel tentativo di avere un quadro più chiaro possibile della situazione ed affrontarla nel migliore dei modi. Se gli avversari improvvisamente diventano due, tre o quattro l'allerta sale, e aumenta anche il numero di elementi che mi sforzo di valutare. Nel fare queste analisi però l'attenzione è totalmente rivolta al mio avversario, consegnata di fatto nelle sue mani, e lui ha la possibilità di catturarla.
Se immagino però di trovarmi davanti, non a 2 o 3, ma a un folto gruppo di avversari, il mio approccio probabilmente sarebbe diverso. Non proverei nemmeno a valutare la pericolosità di ciascuno, la loro altezza, o il livello di aggressività dei singoli. Le informazioni da immagazzinare e successivamente da gestire sarebbero troppe.
Automaticamente, invece che al ragionamento, mi affiderei alle percezioni, ottenendo di conseguenza reazioni più spontanee. Prive di calcoli o strategie, senza dubbi sul loro esito. L'attenzione resterebbe salda su me stesso, e inafferrabile per gli altri. Esiste quindi una soglia oltre la quale ci rendiamo conto che sarebbe impossibile analizzare in modo razionale il pericolo che stiamo fronteggiando, e rinunciamo a farlo. La nostra attenzione torna ad essere totalmente incentrata su noi stessi. Tanto che se qualcuno nel nutrito gruppo di avversari che abbiamo davanti iniziasse a fare cose come strabuzzre gli occhi, tirare fuori la lingua, agitare le braccia, parlare - cioè quel genere di azioni che in un 1 contro 1 ci provocherebbero sorpresa -, in questo caso probabilmente nemmeno ce ne accorgeremmo.
Non è una condizione facile da raggiungere. E non possiamo neppure augurarci di venire aggrediti da una squadra di rugby piuttosto che da un unico sprovveduto, perché almeno così non ci viene rubata l'attenzione! E' necessario quindi allenarci a mantenere l'attenzione concentrata sui noi stessi anche davanti a pochi. Un metodo potrebbe essere quello di lavorare per sottrazione. Iniziare a difenderci dall'attacco di una decina di persone, in maniera da non provare nemmeno a valutare una minaccia così complessa in modo razionale, e affidandoci quindi alla percezione. L'attenzione che “risparmiamo” la dedichiamo a noi stessi. La usiamo cioè per apprezzare la spontaneità delle nostre reazioni e la libertà di movimento che ne deriva. L'assenza di strategie e di schemi. La continuità del respiro e dei movimenti. La rilassatezza di un corpo che si muove in modo semplice e unitario. Ed è questo il vero obiettivo dell'esercizio. Non tanto difenderci efficacemente dagli attacchi, ma osservare e ascoltare noi stessi.
Successivamente iniziamo gradualmente a ridurre il numero di aggressori, continuando però a mantenere l'attenzione sempre su questi aspetti. Anche quando gli avversari saranno talmente pochi da poter essere contati, riconosciuti e valutati, dovremmo resistere alla tentazione di farlo, perché questo significherebbe rivolgere a loro, piuttosto che a noi stessi, la nostra preziosa attenzione.
Il Systema è per la vita e la vita non è solo combattimento, lo diciamo spesso. Nell'immaginare l'esercizio appena proposto mi è tornato alla mente una sorta di metodo che ho usato varie volte per allontanare ansie e pressioni. Quando mi è capitato di dover affrontare problemi che mi creavano particolare preoccupazione e che catalizzavano tutta la mia attenzione, consumavo tutte le mie energie mentali nel tentativo di trovare soluzioni. Per liberarmi da questa spiacevole condizione talvolta immaginavo che, oltre al problema che effettivamente avevo, ne sorgessero improvvisamente molti altri di pari gravità. Intoppi sul lavoro, turbolenze nelle relazioni affettive, difficoltà di un familiare, scadenze di pagamenti difficili da rispettare, impegni imprevisti. Se con l'aggiungere i primi problemi l'ansia saliva, raggiunta una certa soglia il livello di ansia, già saturo, smetteva di aumentare. A quel punto rinunciavo a voler trovare a tutti i costi una soluzione immediata. Accettavo la presenza di tutti quei problemi, ma li spostavo fuori da me. Non lasciavo cioè che i problemi fossero i protagonisti della mia vita, riappropriandomi io stesso del ruolo centrale. La mia attenzione e le mie energie tornavano così a rivolgersi verso l'interno, e le tensioni si allentavano. Poi, proprio come nell'esercizio proposto, iniziavo gradualmente a togliere tutti quei problemi aggiuntivi che mi ero volontariamente inflitto. Quando rimaneva solo quello che realmente avevo ne accettavo l'esistenza, ma stavo ben attento a non lasciare che tornasse ad essere l'obiettivo unico delle mie attenzioni.
Mantenendo questo stato di centralità e tranquillità non di rado mi accorgevo che la soluzione al problema arrivava alla fine in maniera più semplice e spontanea di quanto mi immaginassi. Semplice e spontanea come il movimento di un corpo che ascolta sé stesso, piuttosto che concentrare tutta l'attenzione su ciò che sta al di fuori.
Articolo di Jacopo Baggiani
Aspirante istruttore

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Precisione nelle arti marziali

31/3/2014

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Precisione, definizioni:  stato o qualità di essere preciso; esattezza. Aggettivo: chiaramente espressa o delimitata definita. Esatto in termine di prestazione, l'esecuzione, o la quantità; preciso o corretto.

Molte volte ci siamo consumati nella ricerca per sviluppare potenza e velocità, questo è soprattutto perché queste qualità hanno forti associazioni fra di loro, in termini psicologici il "potere" è associato con l'ego e la " velocità" con la paura; spesso quando ci alleniamo, invece di “trasformare” queste qualità psicologiche, non facciamo altro che rafforzarle; la precisione che è associata con la qualità psicologica dell’ esattezza, colloca sotto di sé potenza e velocità. Tuttavia, se guardiamo ogni vero capolavoro possiamo vedere emergere la precisione, non importa quale sia lo sforzo, in quanto nella precisione c’è il corretto utilizzo di forza e velocità come qualità intrinseche. Quando vi allenate, prendetevi il tempo,  per concentrarvi su questa abilità, non rimarrete delusi dai risultati! Ecco quattro consigli per aiutarvi in questa impresa:

RALLENTATE

Non abbiate fretta nell’eseguire le vostre esercitazioni per il bene di portarle a termine. La velocità può essere aggiunta in seguito quando le vostre abilità migliorano. Pensate a un buon cibo, godete e assaporate ogni aspetto di esso, che cosa porta a mangiare troppo in fretta? Non molto, magari un gran mal di pancia.

FAVORITE LA QUALITA’ ALLA QUANTITA’

Che si tratti di parole o azioni, meno ne utilizziamo per eseguire la stessa operazione, più aumenta l’efficienza e più energia si conserva. Pensate a qualcuno che divaga su di un argomento che potrebbe essere riassunto in poche parole, questo fa agitare le persone, che cominciano a sbuffare come uno pneumatico forato; o la soddisfazione di un movimento difensivo efficiente che ha richiesto solo un buon pugno, anzichè 4 colpi mediocri.

PORTATE A COMPIMENTO

Quando vi esercitate siate chiari e fiduciosi con le vostre azioni. Non ci dovrebbe essere alcun dubbio circa gli effetti potenziali di quello che state facendo, ad esempio, se praticate il "prendi e scappa" con un partner, entrambi potete lavorare con precisione, la persona che sta afferrando il partner deve scegliere un obiettivo e procedere in modo impegnato e concentrato, se il partner non si muove, la presa và completata e la persona è messa a terra; dall’altra estremità la persona che si difende dovrebbe agire con precisione e fermare la presa, senza lasciare dubbi sull’efficacia della sua azione.

USATE LE PAROLE

Cercare parole e dichiarazioni precise quando spiegate. Che si tratti alla fine della classe nel cerchio o spiegare qualcosa ad un compagno di studi, trasmettete il messaggio in maniera concisa ed efficace è il vero segno distintivo di un maestro; cercando di raggiungere questa abilità sarete in grado di rendere il vostro 'lavoro' davvero bello e gratificante.

Ispirato ad un articolo sul Blog di Emmanuel Manolakakis, insegnante di systema di, Toronto CA


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Butta via la spazzatura

7/2/2014

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Guardare...e Vedere...

Di Mario Picconi

Ricercare una evoluzione personale attraverso l’apprendimento è la base del processo di crescita di una persona, tutti apprendiamo da quando siamo bambini, e guardiamo il mondo con occhi critici scegliendo cosa ci piace, quindi cerchiamo di imitare quello che vediamo per farlo nostro e saperlo riprodurre, fatto ciò andiamo oltre e cerchiamo nuove cose da apprendere, perché ogni processo non è mai fine a se stesso, l’apprendimento non ha confini, perché non dipende da fattori esterni alla persona, ma dipende da come siamo in grado di “VEDERE” e quindi discriminare quello di cui vorremmo fare esperienza.
Dallo studio della neurofisiologia abbiamo potuto scoprire che l’apprendimento è una funzione complessa che coinvolge svariati aspetti del nostro organismo congiunti a fondamentali cambiamenti, chiamati da Darwin, adattamenti; questo termine è alla base delle teorie evoluzionistiche e dei cambiamenti a cui le specie animali (e non solo) vanno incontro, e determinano la sopravvivenza…
Rivolgendoci al nostro quotidiano, l’apprendimento è alla base dell’adattamento, quella che spesso viene definita “crescita personale” è un fenomeno di apprendimento per cui l’individuo sente la necessità di adattarsi a determinate situazioni di vita, immaginiamo una stanza arredata, piena di oggetti, libri, ricordi, ma anche tante cose inutili accatastate e dimenticate, un bel giorno chiamiamo l’imbianchino, che deve rinfrescare la stanza, siamo allora costretti a spostare i mobili, staccare i quadri, la libreria è così piena da essere troppo pesante per essere spostata, quasi quasi pensiamo di lasciare tutto lì e lasciar stare, l’imbianchino passerà oltre… ma invece no, sentiamo l’esigenza di rinnovare tutto, quindi scarichiamo la libreria e la spostiamo, l’imbianchino finisce presto, e ci troviamo una bella stanza dalle pareti pulite, dove tutto è accumulato al centro della stanza; la scelta è ora, nel momento critico, fra rimettere tutto come prima e ritrovare la sicurezza o la fatica di riorganizzarsi la stanza. La nostra mente funziona allo stesso modo, abbiamo uno spazio in cui raccogliere le nostre esperienze, e di conseguenza stabiliamo un livello di funzionamento, si perché la nostra mente è un meccanismo, noi crediamo di essere in ciò che facciamo e pensiamo, ma non è così noi siamo un meccanismo, la nostra mente è un meccanismo, il nostro cervello è un meccanismo, noi ci adattiamo sulla base delle nostre esperienze e lo facciamo secondo una predisposizione individuale, frutto della genetica. Come rimettere a posto la nostra mente? Coma cambiare il nostro modo di vedere le cose? Come rimettere in ordine le nostre vite? Buttare via la spazzatura che è dentro la nostra stanza/mente è il primo passo, creare spazio nella nostra ram virtuale è necessario per “vedere” cosa realmente siamo, e cosa emerge spontaneamente dalla nostra vita, invece di continuare a riempirci la mente di ideologie preparate da altri, possiamo scoprire cosa è presente nelle nostre vite semplicemente osservando, in fondo la meditazione è proprio questo, gettare la spazzatura e occuparci di ciò che facciamo ogni giorno, la meditazione non è andare fuori dal mondo in un luogo di pace, è trovare il luogo di pace dentro questo mondo, dentro di noi, guardare dentro se stessi e riuscire a “vedere” attraverso.
L’organo della vista è la fonte del 70-80% delle informazioni relative all’apprendimento del nostro sistema uomo, l’asse bipupillare è il principlae asse su cui si fonda l’allineamento posturale, guardare è una funzione innata su cui fondiamo i nostri processi di apprendimento e relazione con l’ambiente esterno, riuscire a “vedere” è in relazione alle nostre precedenti esperienze, attenzione, la vista può essere ingannevole, sia perché siamo soggetti a continui condizionamenti, sia perché non siamo preparati a vedere, guardare senza poter vedere, è come pensare di sapere già tutto quello che serve, è come pensare che una “tecnica” possa risolvere le nostre problematiche, ma i problemi che noi pensiamo esistano, in realtà sono solo domande per cui cerchiamo di trovare la risposta.

Come si impara a “vedere” ? Studiare ed approfondire la conoscenza ci mette in grado di essere in grado di vedere realmente, rimettere in discussione quello che sappiamo per poter migliorare la nostra consapevolezza; occorre studiare con un preciso criterio, spesso si incontrano percorsi di studio impostati in maniera casuale e senza un filo logico che leghi le discipline dello studio, ecco questo è un caso in cui invece di ripulire la nostra stanza dalla spazzatura, la sostituiamo con quella di qualcun altro. Il criterio corretto per studiare esiste e prevede che ci siano dei princìpi che legano le discipline di studio sviluppando un’armonia di comprensione e nell’uso degli strumenti questo è quello che insegnamo nella nostra Scuola, non diamo un metodo di pensare pre-impostato, non isegnamo formule per risolvere i problemi,  noi ci basiamo su cose vere, sull’insegnamento di ciò che la natura ha creato, affinchè possiamo farne una esperienza di crecita personale, imparare a vedere, in armonia con le leggi della natura.


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Sperimentare il controllo

26/11/2013

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di Mario Picconi

“Il controllo di se stessi non si ottiene mediante ragionamenti, ma attraverso l’educazione di un essere vivente. Occorre quindi provocare delle emozioni per imparare a controllarle” (M. Feldenkrais)


Nelle arti marziali si sente parlare spesso di controllo, questo concetto viene applicato al movimento, alla persona e alla situazione che la circonda, in effetti viene troppo spesso confuso con il concetto di “non agire” (il wuwei del taoismo), che genera un senso di immobilità legato all’abitubine di osservare solo alcuni dettagli, il movimento, la postura, la respirazione, e perdere di vista la situazione d’insieme. In condizioni di stress sappiamo che emerge la cosiddetta tunnel vision, cioè una restrizione del campo visivo e una focalizzazione delle percezioni, che fa parte di un automatismo che si chiama reazione di “difesa e fuga”…infatti, chi, come me è stato protagonista di qualche incidente motociclistico ha potuto sperimentare una sensazione che definirei opposta alla “tunnel vision”, un rallentamento dello scorrere del tempo ed una percezione distinta che il corpo si muove da solo, come fuori dal tempo, in cui si prepara all’impatto di una caduta, all’urto contro qualcosa… Devo dire che in tanti anni di pratica delle arti marziali, i veri momenti in cui ho potuto constatare che quello che ho imparato mi poteva salvare la vita, sono state proprio delle reazioni ad eventi inaspettati fortemente traumatici, non certo all’assalto notturno di un ninja assassino! E non è stato solamente un fatto di sapere come cadere, e di preparazione fisica, ma di sapere come scaricare l’emozione della paura di morire.  La paura della morte in realtà noi la sperimentiamo continuamente, attraverso piccole rigidità e tensioni del corpo, attraverso continui blocchi del respiro che operiamo inavvertitamente, attraverso attaccamenti a pensieri legati al nostro “piccolo io”, o al possesso di cose, …e poco importa il sapere teorico o aver studiato psicologia, quando si parla di emozioni e di gestirle saltano tutti i paramentri perché il lavoro di preperazione non passa attraverso le “nozioni” ma attraverso l’esperienza diretta di un momento conflittuale della persona, allora osservando le nostre reazioni in quel determinato momento possiamo capire cosa c’è dentro l’armadio polveroso della nostra esperienza.

Nel systema questo tipo di preparazione si svolge attraverso esercizi mirati al controllo dello stress, allo sviluppo della sensibilità e  al controllo segmentario del corpo. Il fattore stress viene interpretato sotto svariati aspetti che possono essere previsti singolarmente o sommandoli tipo controllo del dolore, assenza della vista, movimento in spazi ristretti, movimento al suolo, gestione di una lama sul corpo, ecc…; questo tipo di esercizi si deve svolgere in situazioni in cui i movimenti di attacco non sono predeterminati, applicando un princìpio a situazioni estremamente variabili. Una particolarità del systema Siberian cossack è l’uso della musica per sviluppare il ritmo e il senso del timing. Il fattore sensibilità è ben conosciuto nelle arti marziali e studiato con molti esercizi, la particolarità del systema consiste nello sviluppare l’uso di tutto il corpo, non solo delle classiche parti deputate alla difesa, quindi si sviluppa una sensibilità estesa che va anche oltre il corpo fisico prendendo in considerazione gli aspetti psicologici dell’attacco e della difesa. L’aspetto del controllo dei segmenti è legato allo sviluppo della sensibilità, per scoprire varianti di movimento diverse e inusuali e sviluppare al massimo la capacità di seguire, aderire, ascoltare, ecc...Del resto non si può pensare di controllare qualcosa che non si sente, ma ancor prima dobbiamo poter essere in grado di conoscere come e dove le nostre emozioni localizzano le tensioni e le rigidità sul nostro corpo, sono questi i segnali che il sistema nervoso riconosce sotto stress e con l’addestramento diventa in grado di convertirli in uno stress-positivo, generando risposte adattative collegate con lo spirito di sopravvivenza e conservazione. Questo non vale solo per il combattimento, ma per tutto, infatti le risposte allo stress sono attivate automaticamente da una vera o presunta minaccia alla nostra sopravvivenza. Quindi in realtà il nostro livello di controllo può essere sperimentato molto frequentemente, basta prenderne consapevolezza.


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    Mario Picconi, ha realizzato     l'area blog sul systema

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